Abbiamo intervistato Chiara Alluisini, segretario generale di Fondazione Marcegaglia che ci ha raccontato come è nato il progetto di formazione per le operatrici dei Centri Antiviolenza sperimentato a Mantova dal 2014 e in seguito esportato in altri territori.
Beatrice Villa di Fondazione Marcegaglia: A volte le idee migliori nascono grazie a incontri inaspettati, raccontaci come è nata l’idea del progetto di formazione per i centri antiviolenza?
Chiara Alluisini: E’ proprio così! Questo progetto infatti è nato da un incontro avvenuto al termine di un convegno nell’autunno 2013. In questa occasione io e Carolina, Presidente di Fondazione Marcegaglia, incontrammo Marzia Bianchi, Presidente del Cav di Mantova e Manuela Baiocchetti, counsellor e formatrice. Scattò subito la scintilla e sentimmo subito una consonanza di motivazioni profonde, personali e professionali, nel creare un nuovo progetto con al centro le donne. A Marzia era chiaro che il CAV, con la sua passione e il suo riconosciuto radicamento nel territorio da oltre trent’anni, per crescere aveva bisogno di darsi una struttura organizzativa più solida e anche di competenze professionali di relazione d’aiuto; Manuela counsellor, formatrice e supervisore Aspic, prima scuola in Italia di counselling, era la persona giusta per supportarle e il sostegno concreto di Fondazione Marcegaglia poteva rendere sostenibile il progetto.
B.V.: Quindi una rete di donne che decidono di unire le forze per altre donne, quanto è stato importante questo per il successo dell’iniziativa?
C.A.: Da una scala di valori da uno a 100, 100! Dopo un mese dall’incontro di Carolina, Marzia e Manuela erano d’accordo sul bisogno di lavorare insieme alle volontarie del CAV sull’organizzazione e la coesione del gruppo di lavoro ma anche sulle strategie di ascolto. Il primo incontro si è svolto al gran completo: 53 donne che non avevano quasi mai occasione di incontrarsi, essendo impegnate in diversi servizi, si sono sedute intorno a un tavolo e hanno iniziato un confronto sul loro modo di vivere l’impegno di ascolto e volontariato.
B.V.: Raccontaci come si è evoluto negli anni questo progetto al CAV e come ha avuto una ricaduta positiva sulle beneficiarie del centro?
C.A.: Da quel primo incontro ha avuto inizio un percorso formativo che si è articolato nel 2014 nel progetto “Dal gruppo al gruppo di lavoro efficace”, il cui obiettivo è stato traghettare un insieme composito di soggetti diversi, motivati tuttavia da una scelta valoriale comune, verso la fisionomia di un gruppo di lavoro. Nel 2015 abbiamo proposto il percorso “Sostegno al cambiamento e Supervisione” per rispondere al bisogno delle volontarie di avere maggiore struttura e sostegno nella conduzione dei colloqui con le donne vittime di violenza e anche di avere la supervisione di una professionista per i casi più complessi. Sempre dai bisogni rilevati dalle volontarie è nato il tezo step nel 2016 “Le abilità di base di counselling”, che ha permesso alle partecipanti di ricevere una qualifica di primo livello di Counsellor.
Alla fine del ciclo formativo la percezione del cambiamento è stata a tutti i livelli: cognitivo per le conoscenze acquisite relativamente ai contenuti proposti puntualmente rielaborate nelle relazioni di ogni incontro, emotivo per il training esperienziale che ha accompagnato ogni incontro a livello personale, e operativo relativamente alla conduzione dei colloqui con una ricaduta positiva per le donne che si rivolgono al centro.
Il percorso è stato così efficace che si è deciso di continuare con il percorso, tuttora attivo, affrontando ogni anno tematiche utili per la crescita del gruppo e delle competenze individuali. Questa continuità ha permesso di superare anche il difficile periodo della pandemia di Covid-19 evitando che il gruppo di disgregasse.
B.V.: Nel 2017 la Fondazione ha lanciato un bando per portare l’esperienza fatta al CAV anche in un’altra realtà così è iniziata l’esperienza al CIF di Carrara, ce ne puoi parlare?
C.A.: Il bando “Con le Donne” proponeva alle organizzazioni del terzo settore una formazione per dotarle di strumenti idonei a intercettare i bisogni delle donne vittime di violenza e a favorire processi di autonomia delle stesse, oltre a mettere in rete servizi pubblici e privati che si occupassero di protezione e assistenza a favore di tutte le vittime di violenza.
L’idea era quella di “esportare” il modello virtuoso costruito con il CAV di Mantova in un’altra realtà. E così nel 2018 è iniziato l’affiancamento del Centro Antiviolenza gestito dal CIF (Centro Italiano Femminile) di Carrara con un percorso formativo costruito su misura rispetto alle esigenze sentite dalle operatrici.
Anche in questo caso il percorso ha avuto grande successo e quest’anno si aprirà anche ad altre realtà gestite dal CIF a Reggio Calabria e Salerno.
B.V.: Quali sono i risultati più importanti raggiunti da questi progetti?
C.A.: In primis l’approccio formativo rivolto all’empowerment delle operatrici le ha rese più consapevoli del proprio ruolo e desiderose di imparare e collaborare per un obiettivo comune, ma soprattutto ha migliorato la capacità di ascolto delle donne vittime di violenza creando un ambiente di mutuo aiuto tra operatrici e donne e tra donne e donne nei percorsi di autonomia lavorativa.
B.V.: Un punto di forza di questo progetto è che è stato pensato come un modello esportabile in altre realtà che si occupano dell’ascolto e dell’accoglienza delle vittime di violenza, quali sono gli obiettivi per il futuro?
C.A.: Essere sempre più inclusivi facendo dialogare i Centri Antiviolenza con i centri che si occupano degli uomini maltrattanti per mettere in circolo buone pratiche e dar vita ad un modello condiviso per affrontare il fenomeno della violenza di genere anche dal punto di vista della prevenzione.